Rapporti sulla situazione del San MartinoCome le forze nazifasciste vedevano gli uomini e l'operato del Gruppo Cinque Giornate.
I TEDESCHIMentre i fascisti davano la caccia ai responsabili, i tedeschi al Quartier generale di Como, studiavano a fondo la situazione venutasi a creare nel varesotto. La decisione con l'accordo del capo distretto Bald, fu unanime: attaccare il S. Martino e le basi circostanti, utilizzando polizia e militi confinari. |
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IL COMANDANTE DEI CARABINIERI DI VARESE- SINISI
5 NOVEMBRE 1943Il gruppo "Regio Esercito- 5 Giornate" fu individuato, come riportato dal comandante Sinisi in un rapporto del 5 novembre alla Prefettura di Varese. È il documento ufficiale che descrive, pur tra notevoli imprecisioni, la consistenza della formazione del tenente colonnello Croce e la sua dislocazione sul territorio. Scrisse Sinisi: "da fonte sicura viene riferito che sul monte S. Martino, a nord di Cuvio, altitudine metri 1000 circa, si è costituita una banda con oltre 500 sbandati partigiani del governo Badoglio, provenienti dai disciolti reparti del Presidio di Milano, molti in uniforme, altri in abito civile. Tali elementi sono accasermati in due fortilizi costruiti durante l'altra guerra, provvisti di trincee, camminamenti coperti, feritoie […] da cui si può dominare tutta la pianura sottostante. Essi sono armati di fucili mitragliatrici, bombe a mano, vuolsi anche di pezzi di artiglieria […]. Sono comandati dal tenente colonnello (dicesi si chiami Cortese del disciolto presidio di Milano). Questi ha alle sue dipendenze 3 capitani, vari ufficiali subalterni. Nelle adiacenze dei fortini i partigiani hanno sbarrato le strade e i sentieri di accesso con tratti minati e fosse anticarro".
6 NOVEMBRE 1943Il 6 novembre il comandante del Gruppo carabinieri di Varese disse, dietro ordine di Sinisi: "Ai militari sia data esplicita consegna di controllare attentamente persone, veicoli, autoveicoli, e merce trasportata, nonchè i militari in divisa [.] procedendo senz'altro al fermo al più vago sospetto che si tratti di militari sbandati o malfattori [.] respingendo energicamente con le armi ogni tentativo di sopraffazione e violenza".
9 NOVEMBRE 1943A seguito dello scontro del 9 novembre il tenente colonnello Sinisi scrisse una lunga lettera al capo della Provincia Giacone da cui emerge il senso di impotenza: "Malgrado tutta la buona volontà- dice l'alto ufficiale- e lo spirito di sacrificio di ufficiali, sottufficiali e truppa dell'Arma dei carabinieri non si sono potute per ora prevenire e reprimere le suddette manifestazioni. Sono stati disposti in talune zone speciali servizi di vigilanza con squadre e pattuglie di carabinieri ma, data l'estensione della zona, non si sono potute prevenire azioni di sbandati. Costoro [.] sono accasermati in due fortilizi [.] da cui si può dominare tutta la pianura sottostante. La forza delle stazioni dei carabinieri della Provincia è irrisoria ed in ciascuna stazione si riduce a pochissimi uomini in prevalenza elementi richiamati, anziani, appena 3-4 uomini per stazione; in alcune anche due uomini. Fanno eccezione Varese, Gallarate, Busto Arsizio, Saronno e Sesto Calende ed alcune altre stazioni che hanno forza superiore ma da esse non si possono prelevare rinforzi siccome impegnate in servizi di eccezionale importanza, quali protezioni alle ferrovie, vigilanza a ponti, centrali elettriche, depositi di munizioni, stabilimenti di costruzioni aereonautiche. Comunque dato il numero considerevole di sbandati [.] una eventuale azione non può essere assolutamente svolta da militari dell'Arma dei carabinieri ma da unità convenientemente armate ed attrezzate". Alla delusione alla denuncia della carenza degli organici, si accompagnava, in Sinisi, la convinzione di non poter fare pieno affidamento sui suoi uomini, soprattutto sui quadri intermedi, i sottufficiali e i carabinieri semplici che, vivendo accanto alla popolazione, conoscevano, delusioni, sofferenze e anche speranze. Soprattutto l'odio con cui la gente guardava al fascismo ed ai tedeschi. |