LA FUCILAZIONE DI TRE PARTIGIANI NEL RACCONTO DI DON GIUSEPPE TORNATORE

 

bettole.jpg (140575 byte)[…] Il 7 ottobre 1944 un plotone della Scuola Allievi della Guardia Nazionale Repubblicana fucilò davanti all'ippodromo delle Bettole di Varese tre dei diciannove prigionieri.

La GNR volle mandare un forte segnale alla città di Varese dove l'attività dei gappisti aveva toccato in quei giorni livelli di lotta molto elevati, decidendo di fucilare Elvio Copelli, Evaristo Trentini e Luigi Ghiringhelli. Don Giuseppe Tornatore che stava passando in zona, si venne a trovare al centro di quell'evento drammatico. Svolse il suo ministero sacerdotale e il 7 agosto 1945 scrisse questa testimonianza in un documento di straordinario interesse: "[…] Il 7 ottobre tornavo da Varese, diretto alla mia residenza, quando una giovane donna, tremante e sconvolta, con voce e gesti concitati mi avvertiva che dinanzi all'ippodromo tre patrioti stavano per essere fucilati. Affrettai il passo verso il luogo indicato e consultai l'orologio, erano le 18.

Al termine del viale notai subito qualcosa di insolito: un gruppo di militi sbarrava la strada ed il divieto di passaggio era assoluto. Chiesi allora il permesso di portare la mia parola di sacerdote ai tre condannati facendomi forte della mia qualità di ex cappellano: un milite, che disse di conoscermi, accondiscese.

I tre partigiani stavano appoggiati al muricciolo di cinta della proprietà Aletti. I tre disgraziati, che erano stati sorpresi nel sonno nel loro rifugio montano, erano a piedi scalzi, senza giubba e cappello, due con i calzoni corti: gli occhi infossati, i visi pallidi erano di una eloquenza angosciosa […], facevano parte della banda Lazzarini, altri tredici erano già stati fucilati nel luinese. […]

Fui aiutato da un commissario di Questura e da un capitano medico per avere il permesso di parlare ai fucilati.

I minuti erano contati, dopo aver rivolto alcune parole di conforto ad uno ad uno abbracciai i poveretti e quindi ne ascoltai le confessioni […]. Le mie semplici e paterne parole seppero portare nel cuore dei tre poveretti sollievo e rassegnazione. I due più giovani accolsero con spirito veramente cristiano il pensiero della morte vicina, ma il Trentini, era in preda ad un nervosismo estremo che non gli permetteva di pronunziare parole. […]

Imbruniva: il tempo concessomi era terminato. Fu dato l'ordine di legare le mani dietro il dorso ai tre giustiziandi e di accompagnarli di fronte, sul prato adiacente il tennis. Rimasi vicino ad essi fino all'ultimo istante e, quando già il plotone di esecuzione schierato in linea si disponeva a puntare i mitra contro le tre giovani schiene, una voce si elevò, straziante, a richiamarmi: "Cappellano, Cappellano!" Era il Trentini. Pregai i militi di concedermi ancora qualche istante e mi portai sullo spazio erboso dove i tre giovani attendevano la ingiusta e fratricida morte. E fu sotto il tiro dei mitra che ascoltai le ultime raccomandazioni del poveretto, tormentato dal pensiero del tenero nipotino e della giovane madre.

"Coraggio, ragazzi! - fu l'ultima mia esortazione - volgete lo sguardo al Santuario della Madonna del Monte che vi sta di fronte" […] . E dopo aver suggerito una giaculatoria mi ritrassi ponendomi al lato del plotone […] . Mentre alzavo la mano benedicente, una scarica terribile colpì i tre partigiani che caddero riversi, contemporaneamente, come alberi schiantati da improvvisa bufera.

I tre poveretti giacevano sull'erba, tra rigagnoli di sangue e colpi di mitra ancora squarciavano le giovani carni, ne laceravano i polpacci: il Trentini ebbe asportato un occhio. Non potei non esclamare: "Basta, ormai sono morti!" […] . Il plotone si allontanava intonando canzoni, mentre la massa di popolo si rovesciò sul piazzale e venne accanto alle vittime mormorando parole di pietà e di esacrazione . Fino a tarda notte una pietosa processione sostò dinanzi alle salme, e mani anonime le coprirono di fiori […].

Mentre mi preparavo a tornare al mio istituto, uno sconosciuto mi si avvicinò e dichiarandosi partigiano, mi espresse la sua gratitudine per quello che avevo fatto[…].

La terribile giornata si chiuse […] e quella notte si scatenò un furioso temporale tra scrosci di pioggia torrenziale. Insonne, pensavo ai tre cadaveri, in balia dei cani randagi, sotto quel diluvio […]. Tre giorni i cadaveri rimasero esposti sulla pubblica strada, finché dopo la mia protesta in Prefettura, vennero rimossi e trasportati all'obitorio di Belforte. Due giorni dopo, dal Comm. Duca, questore di Varese, ebbi l'autorizzazione di benedire le salme che venivano sepolte […].

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