Chi erano

L'8 settembre 1943 ordini e contrordini al Regio Esercito Italiano si susseguivano, provocando il caos completo. Gli uomini abbandonavano le armi tentando di tornare alle proprie famiglie; qua e là piccoli gruppi si organizzavano gettando così le basi di quella che doveva diventare la guerra partigiana. In quella stessa data fu costituita la Guardia Nazionale, i cui membri, mentre avveniva l'occupazione dei tedeschi a Milano, si prodigavano a raccogliere armi di ogni tipo, a recuperare mine, ordigni ed esplosivi. Il tenente colonnello dei bersaglieri Carlo Croce tentò di portare gli uomini dei quali era al comando fino a quel momento, sul monte San Martino; arrivarono a destinazione solo 12 ufficiali e 10 soldati, lasciandosi alle spalle gli sfiduciati che preferirono tentare il ritorno a casa. Ufficiali della formazione militare Gruppo Cinque Giornate L'8 ottobre Enrico Campodonico, che fino al Luglio 1943 comandava a Milano la Squadra di protezione antiaerea, fu denunciato alla G.N.R, ma fu tempestivamente avvertito ed ebbe la possibilità di allontanarsi da Milano, portandosi nella zona di Carate. Il cappellano Don Mario Limonta parlò con il Col. Croce della situazione di Campodonico, così decisero che gli uomini del Gruppo Cinque Giornate sarebbero andati a prelevarlo per farlo entrare nel gruppo stesso. La denominazione esatta del gruppo era: "Esercito Italiano- Gruppo Cinque Giornate- San Martino di Vallalta- Varese". Il Ten. Col. Croce assunse lo pseudonimo di colonnello GIUSTIZIA. Questi diede a Campodonico le informazioni su quelle che dovevano essere le basi per l'organizzazione: costruire un nucleo nelle fortificazioni di S. Martino. Le fortificazioni dovevano essere munite di viveri e munizioni anche per un lungo assedio spesso analizzato in seguito come un errore strategico. In modo decisamente diverso agirono invece i G.A.P. Varesini. Ad ottobre il gruppo poteva contare anche su numerosi prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento dopo l'8 settembre. Tutti avevano il moschetto, alcuni anche la pistola. L'armamento del gruppo era completato da 10 mitragliatrici Breda, 700 bombe a mano, 20 mila cartucce da moschetto, 6 mila cartucce da mitragliatrice. Era un bilancio discreto. Scarseggiavano invece i viveri ed il tenente colonnello Croce, per sopperire alle necessità, ordinò le "missioni", azioni veloci, in qualche caso verso località lontane. Gli spostamenti dei partigiani, che utilizzavano anche alcune vetture militari, preoccupavano i fascisti, i quali si limitavano, almeno inizialmente, a registrarli nei loro rapporti. A tal proposito presentiamo una serie di rapporti, documenti o stralci, che delineano la situazione del San Martino sia per quanto concerne le missioni legate ai partigiani, che per come il gruppo fosse visto dalle autorità nazifasciste..

Rapporti/documenti autorità nazifasciste     La missione di Porto Valtravaglia

Gli scontri

Durante tutto il mese di ottobre il Comando tedesco preparava l'azione di rastrellamento contro il S. Martino. In questo periodo gli uomini della Resistenza vennero per due volte a contatto con i tedeschi. La prima volta lo scontro si verificò sulla strada che congiunge Cittiglio con Luino: un'imboscata sorprese un camioncino tedesco, montato da due graduati, dei quali uno venne ucciso e l'altro ferito. Nel secondo scontro un'automobile di militari italiani s'imbatté in un autocarro tedesco proveniente da Luino. Gli italiani fecero fuoco contro l'autocarro e dopo aver provocato un morto e un ferito, si diedero alla fuga. All'inizio del novembre 1943 il gruppo era aumentato e si era aggiunto il tenente cappellano Padre Mario.

La caduta

Il Comando tedesco prosegue intanto le sue trame spionistiche e il 5 novembre 1943 vengono riassunti i dati raccolti, con i quali si accertava con precisione l'esistenza del "Gruppo" partigiani con i suoi effettivi, le postazioni, le fortificazioni e il materiale bellico. L'11 novembre il Segretario federale di Varese fece sapere al Col. "GIUSTIZIA" che era disposto a venire a trattative; a tale proposta il colonnello rispose negativamente riaffermando il proprio indomito spirito patriottico ed incitando i suoi uomini ad essere uniti, pronti a sostenere una impari lotta ormai prossima. Quando il Comando tedesco ebbe la soffiata che i partigiani stavano preparando un collegamento radio con il Comando alleato, decise di passare all'attacco. Nella notte dal 13 al 14 iniziò l'azione e le forze destinate a tale scopo ricevettero l'ordine di recarsi sul posto e di accerchiare la zona occupata dai partigiani, ma per un errore di indicazione le forze nazi-fasciste giunsero sulla località nelle prime ore del giorno. Nel pomeriggio del 14 iniziò la battaglia vera e propria. Lo schieramento principale tedesco riuscì ad impadronirsi dopo un'accanita lotta della vetta del S. Martino ed a catturare sei prigionieri. Col calare della notte subentrò una relativa calma e gli uomini si prepararono allo scontro dell'indomani, che si prevedeva duro ed aspro con scarsissime probabilità per i partigiani i quali si trovavano completamente assediati senza possibilità di aiuto. All'alba del giorno 15 i tedeschi iniziarono nuovamente l'attacco da S. Michele con forze raddoppiate con l'appoggio di tre bombardieri che colpirono in pieno la Caserma di Vallalta. caserma di Vallalta Verso le 17.30, l'esito del combattimento volse a favore degli attaccanti i quali, però, furono indotti a maggior cautela dal sopraggiungere della notte. Fu così possibile la ritirata; radunati gli uomini rimasti il Ten. Col. Croce decise di portarli in salvo raggiungendo il confine svizzero. Mediante una fortunata marcia notturna il gruppo passò il confine alle 2.30. Padre Mario rimase in Italia a compiere la sua missione aiutando i feriti che non avevano potuto seguire i fuggiaschi nella loro marcia. I cadaveri dei partigiani ebbero quantomeno una degna sepoltura grazie al Mons. Prevosto di Canonica il quale fu poi interrogato dal Questore di Varese.